Dopo i 3 fatti più importanti del nuovo millennio, cioè gli attentati suicidi dell’11 settembre 2001 negli USA, l’inizio della guerra in Ucraina il 24 febbraio 2022, e la guerra d’Israele del 7 ottobre 2023, è successo un nuovo evento che bisogna descrivere e analizzare con attenzione, perché in futuro rappresenterà un precedente importante.

Il 13 giugno 2025 Israele attacca direttamente l’Iran. Le motivazioni sono note e più volte esplicitate dal leader Benjamin Netanyahu e dal suo governo di estrema destra: il senso di accerchiamento e di pericolo costante per lo Stato d’Israele, che insieme alla Turchia fa parte dell’alleanza occidentale, il programma nucleare iraniano in fase conclusiva dichiarato da Israele e poi ribadito dal presidente americano Donald Trump, ma di cui non avremo mai prove inconfutabili ormai, e la pretesa di un cambio di regime iraniano degli Ayatollah e quindi la caduta della guida suprema Ali Khamenei.

Israele ha aperto con questo attacco il settimo fronte di guerra dopo Gaza, Cisgiordania, Libano, Siria, Iraq e Yemen, tutti colpevoli di far riferimento all’Iran. I 2 rivali perfetti, Israele e Iran, non si erano mai davvero scontrati direttamente in questo modo, escludendo i 2 attacchi palesemente programmati nel 2024. Questo invece è stato uno scontro che definirei “disperato”, perché mostra come Israele, non potendo ancora dire di aver vinto la guerra dopo l’attentato del 7 ottobre, doveva tentate il gesto più estremo per poter dichiarare vittoria. L’Iran infatti ha subito contrattaccato, ma contemporaneamente chiede l’intercessione della sempre troppo silente Europa per bloccare Israele. Quindi è successo proprio quello che non doveva succedere: Trump attacca a sua volta l’Iran.

Calcolate che il Pentagono nell’ordine considerava da tempo la Cina come il principale nemico a livello internazionale anche se solo sul piano della competizione tecnologica, poi c’era la Russia e al terzo posto l’Iran. Tutto quello che era stato fatto dai governi americani precedenti, a partire dalla presidenza di Barak Obama, mirava proprio a un progressivo disimpegno dal Medio Oriente. Ma tutti gli esperti sono concordi nel dire che per la prima volta un alleato regionale quale è Israele nell’area, ha letteralmente tirato per la giacchetta gli USA, perché sapeva fin dall’inizio che senza il loro intervento diretto il suo attacco non sarebbe stato efficace. Trump quindi ordina di far partire i piloti americani con missili devastanti dal centro degli USA, di farli attraversare l’Atlantico e colpire le 3 basi principali nucleari dell’Iran per poi tornare alla base, il tutto rifornendo gli aerei di carburante in volo: 36 ore di viaggio ininterrotte, una missione davvero stupefacente da un punto di vista militare. Il 21 giugno in molti abbiamo avuto la sensazione che il futuro era diventato troppo incerto e pericoloso, soprattutto considerando che l’Iran è nella sfera d’influenza della Russia.
La Cina da lontano decide di stare a guardare. Da un lato continua a vedere questa guerra in Medio Oriente come un ostacolo ai suoi commerci ed espansioni egemoniche rappresentate dalle “vie della seta”; mentre dall’altro l’escalation d’Israele è un vantaggio perché sta distogliendo lo sguardo degli USA dall’isola di Taiwan e dall’indo Pacifico.

Dopo l’attacco Trump non aveva scelta: doveva concludere quanto prima la guerra. E come viene fatto in quelle zone, subito è intervenuto in soccorso il Qatar. Qui l’Iran ha attaccato la più grande base americana di tutto il Medio Oriente, completamente vuota perché ampiamente allertata, mettendo così a tacere ogni ulteriore attacco da parte di Israele e degli USA. Ancora una volta il Qatar, una monarchia del Golfo Persico che si destreggia benissimo fra Iran, Usa e mondo arabo, è stata la protagonista di questa delicatissima fase. Il 25 giugno si ferma tutto, ecco perché Trump l’ha definita “la guerra dei 12 giorni” proprio a rimarcare la velocità della chiusura della crisi mediorientale.

Le dichiarazioni d’obbligo sono state in ordine quelle di Netanyahu, che canta vittoria nonostante dover ammettere che Israele era stata colpita più volte subendo devastazioni e vittime. Khamenei, che si fa vedere di nuovo, dopo che aveva proclamato i suoi successori, e dichiarando l’eterna ostilità contro il Grande Satana (gli Usa) e il Piccolo Satana (Israele). E Trump che si autoincensa perché il suo obiettivo di distruggere le basi nucleari era stato ampiamente raggiunto.
Allo stesso tempo sono tutti insoddisfatti: Israele non ha ottenuto il cambio di regime e soprattutto non può dichiarare di aver vinto la guerra contro l’asse della resistenza islamica, tanto è vero che continua le ostilità contro Hamas. L’Iran, pur mostrando equilibrio grazie al suo presidente Pezeshkian, ha subito gravi perdite forse soprattutto d’immagine. Infine Trump ha dimostrato di non essere indipendente nelle scelte strategiche nell’area, ammesso che abbia tutt’ora una strategia.
Ora bisogna essere molto attenti, perché se è vero che il programma nucleare iraniano era arrivato a un punto estremo di pericolosità e dopo questo intervento americano è tornato indietro di anni, allora si è trattato di una vittoria piena da parte dell’Occidente. Ma se invece, come alcune dichiarazioni nel mondo arabo dicono, gli iraniani avevano avuto il tempo di trasferire materiali nucleari in altre parti, allora bisogna presupporre che proprio in virtù di questa aggressione l’Iran cercherà di ottenere armi nucleari in tutti i modi, e che quindi bisogna aspettarsi un successivo intervento militare da parte degli USA. Ecco perché questa Guerra dei 12 giorni è così importante.

Ora guardiamo al mondo arabo: questo attacco d’Israele ha creato nell’area grandi paure, perché è palese che bisogna temere Israele e non fidarsi più degli USA. Gli americani di fatto perdono credibilità ai loro occhi dopo che erano stati i fautori dei famosi Patti di Abramo del 13 agosto 2020 fra Israele, Emirati Arabi Uniti e USA, e a cui avrebbe dovuto aggiungersi l’Arabia Saudita. Quest’ultima adesione come sappiamo era stata bloccata proprio dall’attentato di Hamas del 7 ottobre 2023. E di nuovo si riparte da Gaza: si perché ora il Qatar, che ha accettato un intervento dell’Iran nel suo territorio anche se “più che telefonato”, incassa un probabile accordo fra Israele e Hamas per la tregua nella striscia, ma staremo a vedere come. Addirittura qualche esperto ipotizza di un futuro “Patto di Ciro” fra USA e Iran nel caso in cui questo rinunci al programma nucleare perché troppo devastati dagli attacchi americani. Vedremo.
La Turchia dal canto suo è rimasta a guardare, avendo già incassato il cambio di regime in Siria a suo favore a fine 2024, rispetto alla precedente gestione russa. Inoltre, pur restando un paese musulmano sunnita ma non arabo, come invece le 6 monarchie del Golfo Persico, non è entrato in conflitto contro l’Iran musulmano ma sciita, pur facendo parte della NATO. Anzi ha potuto analizzare sia come Israele ha sfruttato il protettore USA, sia cosa succede se l’America attacca in Medio Oriente. Due lezioni molto importanti per chi si sente impero come la Turchia, e che agisce di conseguenza indipendentemente dalle alleanze.

Ultimo punto d’attenzione riguarda la Russia. Prima di tutto è evidente che la Guerra in Ucraina è passata in terzo ordine d’importanza sotto il governo Trump rispetto all’amministrazione Biden. Trump infatti prima ha dichiarato di non voler più mandare missili a difesa dell’Ucraina, mettendo di fatto nell’angolo non solo il presidente ucraino Zelensky e l’Europa, ma anche lo stesso Putin, che avrebbe dovuto accettare un congelamento della guerra in quei territori. Poi cambia di nuovo idea, mostrandosi al solito imprevedibile ma soprattutto un negoziatore che “la spara grossa per poi trattare”.
Dal canto suo Putin continua a cercare il riconoscimento della Russia come potenza mondiale e la stabilità dei rapporti fra l’Occidente e tutta la sua area d’influenza. Diciamo quindi che la Russia ha mostrato in questi ultimi mesi un disimpegno in Medio Oriente, accettando prima di tutto a fine 2024 il cambio di regime in Siria pilotato dalla Turchia e accogliendo il suo protetto ex presidente Bashar al-Assad. In questa Guerra dei 12 giorni poi, per la seconda volta, non interviene in Medio Oriente sia per non alzare i toni già pericolosi, sia per incassare poi nei confronti di Trump sul terreno ucraino. Quindi la Russia nei prossimi mesi cercherà di trarre vantaggio dal poco interesse americano per la sua guerra, ma vedremo cosa faranno Putin e Trump.

La cosa chiara ormai a tutti è che le 2 guerre del secondo millennio, quella ucraina e quella d’Israele, sono sempre più interconnesse. E la zona dove si rischiano prossime tensioni anche belliche è quella del Caucaso, punto d’incontro fra i 2 conflitti.
Come è mio solito, tutte le immagini riportate sono della rivista Limes.
Vi è capitato fra i vostri amici o conoscenti di discutere di quello che è accaduto in questi giorni così critici di giugno?
..impeccabile.